Il pandolce genovese e le tradizioni del Natale

Il pandolce simbolo del Natale, a Genova è speciale!

La leggenda racconta che fu portato a Genova da mercanti o marinai e pare si chiamasse “Marzapane Reale” (quasi a sottolinearne la ricchezza negli ingredienti) altri sostengono invece che fu introdotto dal doge Andrea Doria  in occasione del matrimonio tra il nipote Gianandrea e la futura consorte, Zanobia del Carretto, che promosse un concorso tra i pasticceri locali per realizzare un dolce degno delle nozze.

Entrato quindi nelle case dei genovesi e irrinunciabile durante le feste, la maggior parte delle signore lo preparava in casa con i propri ingredienti segreti come ad esempio, l’essenza di fior d’arancio.

Ma soprattutto il pandolce genovese è alto o basso? E’ una diatriba che infiamma gli animi da tempo ma…

In tempi più lontani la lievitazione era necessariamente naturale e le donne preparavano come anzidetto, il pandolce in casa, figuriamoci un pò se si conosceva il lievito “chimico” ingrediente base per il pandolce basso! Questo tipo di pandolce per praticità e velocità nella preparazione a volte viene spacciato da qualcuno per quello, non solo più antico, ma anche per il più caratteristico della nostra Regione, ma non c’è nulla di più falso! Il pandolce genovese è Alto!

Le tradizioni legate al pandolce sono tante: ad esempio nelle famiglie più benestanti la prima fetta veniva conservata per il primo mendicante che avesse bussato alla porta, la seconda riposta per i malanni di stagione (si riteneva infatti che favorisse la guarigione).

Altra usanza era quella di mangiare “o Pandoçe cö-i bescheutti toccae in to vin” i biscotti toccati nel vino i “nostri” ” anicini con il vin santo (in alcuni locali dell’entroterra li servono ancora proprio nel periodo natalizio).

Ma ecco la ricetta del mio amato pandolce genovese.

PANDÔÇE ZENÉIZE

(PANDOLCE GENOVESE)

Per il lievito: 20 gr. di lievito di birra; 300 gr. di  farina (prima lievitazione).

Per il pandolce: 500 gr. di farina; 100 gr. di burro; 250 gr. di zucchero; 1/5 di lt. fra acqua e acqua di fior d’arancio; 200 gr. di uvetta sultanina; 100 gr. di uvetta qualità zibibbo (uva passa); 100 gr. di pinoli; 100 gr.di cedro candito; 50 gr. di semi di finocchio; sale.

Ponete sulla spianatoia la farina prevista per la prima lievitazione e versatevi il lievito diluito in mezzo bicchiere d’acqua tiepida; impastate con cura (aggiungendo se necessario altra acqua).

Disponete l’impasto in una ciotola, ricopritelo con un panno e tenetelo in luogo caldo per una notte intera. Il giorno successivo mettete a bagno in acqua tiepida le due qualità di uvetta e tagliate il cedro a piccoli pezzi.

Disponete sulla spianatoia la farina rimasta e versateci il burro precedentemente fuso, l’acqua di fiori d’arancio, lo zucchero, un pizzico di sale e la pasta lievitata; amalgamate il tutto e lavorate con cura.

L’insieme dovrà risultare morbido e omogeneo perciò se necessario, aggiungete acqua.

Scolate e asciugate molto bene l’uvetta, mettetela sulla spianatoia col cedro, i semi di finocchio e i pinoli; incorporate tutto e lavorate energicamente per almeno un quarto d’ora. 

Tagliate il ricavato in due parti eguali e e poneteli ciascuno su di una placca unta di burro, dando la forma tipica del pandolce; imbrigliate tutt’intorno alla base con un tovagliolo  ripiegato, in modo che lievitando non perda la forma stessa; incidete la sommità con un coltello per ottenere il disegno di un triangolo equilatero; ricoprite con un canovaccio e tenete al caldo per circa 12 ore.

Terminata la seconda lievitazione, togliete il tovagliolo e mettete in forno a 180°, cuocendolo per circa 1 ora.

Il pandolce sarà pronto quando la crosta avrà un bel colore bruno.

Lasciare raffreddare per almeno due ore.

Abbinatelo con lo Sciacchetrà!